Verissimo articolo:
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Quando il Gallo tornerà a cantar?
Francesco LorenzatoAdd comment
Di questi tempi, non più di due anni fa, Danilo Gallinari aveva già giustiziato Memphis Grizzlies, Golden State Warriors e Los Angeles Lakers. Aveva inaugurato il mese di Dicembre più florido della sua carriera NBA, avanzando a suon di prestazioni monstre la propria candidatura per la partita delle stelle in programma due mesi dopo. Volava insieme ai suoi Denver Nuggets, sempre più lanciati verso una delle prime tre posizioni nella Western Conference, consapevoli di essere la squadra più esaltante da vedere, anche in una lega competitiva ai massimi livelli come la National Basketball Association.
Poi il maledetto infortunio contro i Dallas Mavericks, le due operazioni, la fase riabilitativa e finalmente il ritorno all’attività agonistica. Il suo rientro in campo avrebbe dovuto permettere ai Nuggets di tornare nell’aristocrazia della Western Conference, avrebbe dovuto restituire quel quid in termini di letture e imprevedibilita rappresentato dalla sua classe che l’anno scorso, in sua contumacia, era inevitabilmente venuto a mancare. E invece, dopo oltre un mese di stagione regolare, è lecito affermare che se da un lato era preventivabile che il Gallo, come qualsiasi altro atleta rimasto ai box per un periodo così lungo, avrebbe dovuto sconfiggere fantasmi, ruggine e dovuto ricercare daccapo la confidenza con il campo e la fiducia nel suo tiro, dall’altro era inimmaginabile che il processo fisiologico di rodaggio venisse condizionato pesantemente dall’ostracismo dell’allenatore. Se vi era una pulce con la quale, da connazionali e sostenitori del Gallo, non avremmo mai pensato di doverci imbattere, quella era la relazione tecnica tra il campione di Graffignana e coach Brian Shaw. Perché fu lo stesso successore di George Karl, persona ragionevole e pacata se ce n’è una, a spendere parole al miele nei suoi confronti il giorno dell’insediamento al Pepsi Center, dichiarando di avere tutta la pazienza necessaria per aspettare il suo ritorno e che anche e soprattutto da lui sarebbero dipese le fortune della Denver cestistica.
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Di fatto, Shaw sembra voler far tutto fuorché puntare su Gallinari; fuori dal quintetto base, utilizzato come una riserva qualsiasi, è rarissimo riscontrare un set offensivo pensato su di lui. Dopo qualche sconfitta di troppo nelle prime due settimane di stagione, Shaw, incalzato dai giornalisti del Colorado sulla gestione dei minuti dell’italiano, rispose che il suo ruolo è in uscita dalla panchina e che farebbe bene ad abituarsi in fretta. Duro e crudo. I numeri offensivi del Gallo hanno evidenziato subito come questo trattamente fosse tutt’altro che propedeutico per la sua ripresa, ma ancor più importante, al fine dei risultati della squadra.
Denver cominciava la stagione in modo pessimo, palesando problemi su entrambi i lati del campo che si riassumevano in una difesa di burro e un attacco asfittico. Nessuno dei giocatori che ne componevano la lunghissima rotazione riusciva a trovare ritmo al tiro, complice una gestione dei minuti tanto democratica quanto fallimentare da parte del coaching staff. L’accorciamento della rotazione e il conseguente aumento del minutaggio dei “Titolari” di nome e di fatto, che ha interessato fortunatamente anche Gallinari, ha caratterizzato l’unica serie importante di W consecutive fatta registrare da Denver sino ad ora. Danilo sembrava cominciare a digerire il ruolo designatogli, la confidenza con il canestro cresceva di partita in partita, la sua energia contagiava i compagni e per un momento anche Shaw, il quale si godeva il miglior Gallo della stagione nella sfida interna contro i New Orleans Pelicans e disegnava per lui il primo importante set offensivo nel possesso finale dei tempi regolamentari contro i Los Angeles Lakers, match deciso proprio da una tripla del Gallo all’overtime.
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Il viaggio in trasferta ad Est dei Denver Nuggets, ha visto una drastica riduzione della considerazione nei confronti di Gallinari e conseguentemente la seconda crisi stagionale della squadra. Nelle sfide di Atlanta e Toronto si è toccato il punto più basso della sua storia con Denver: entrato nel secondo quarto della sfida contro gli Hawks, Danilo si è manifestato sfiduciato e con un linguaggio del corpo che era tutto un programma. Leggermente meglio la seconda apparizione sul parquet ad inizo quarto periodo, sebbene sia terminata presto e con zero punti messi a referto. Nel back to back contro i Raptors, l’atteggiamento del giorno primo è stato verosimilmente punito con l’ultimo ingresso dalla panchina, persino dopo l’ex Montepaschi Siena Erick Green. Pochi minuti di nulla prima di rimettersi seduto.
“Denver, abbiamo un problema”, ufficiale. Che non sia scoccata la scintilla tra Danilo Gallinari e Brian Shaw è piuttosto evidente, che Shaw non abbia compreso tutto il potenziale di Gallinari e che Gallinari conseguentemente non abbia il fuoco negli occhi è altamente probabile. Utilizzare un giocatore dal quoziente cestistico elevatissimo come specialista tiratore sugli scarichi, all’interno di un sistema che in questo momento è un ibrido riuscito male, in cui il playmaker Lawson sta cercando di capire come fare per mettersi in ritmo lui ancor prima di mettere in ritmo i compagni, in cui una sera può capitare che si scorga un pallone sparato dalle mani di Darrell Arthur per diciassette volte, in cui non si è ancora capito quali scelte voglia fare l’attacco, se si è deciso di correre o di giocare a metà campo, offende le caratteristiche di Danilo e denota un’incongruenza col numero di bigliettoni verdi che rimpingua mensilmente le casse del figlio di Vittorio.
Nessuna franchigia nella NBA paga un mero tiratore da non oltre 17 minuti di media oltre 10 milioni di dollari, per quello che è il terzo stipendio della squadra. Sembra di essere tornati ai tempi di New York, in cui Gallo aveva il compito di tirare sugli scarichi e lo faceva benissimo, perché sa fare anche quello all’interno di un sistema che lo prevede, i minuti a sua disposizione erano tanti e giusti per consentirgli di entrare in affinità con il canestro, ai servigi di un allenatore come Mike D’Antoni che tra i suoi difetti non annovera quello di mettere fuori ritmo in attacco i propri giocatori. In ultimo, lo stipendio era in linea con le aspettative tecniche. A questo punto, risulta possibile abbozzare l’ipotesi che la nuova dirigenza, nonché la stessa che ha voluto Shaw in panchina e giunta a Denver al termine della stagione dell’infortunio, non condivida le scelte fatte da quella precedente, la quale nelle persone di Masai Ujiri e coach Karl, aveva puntato pesantemente sulle qualità dell’ex stella dell’Olimpia Milano. In questo contesto, torna alla memoria il trattamento mediatico che l’organizzazione Nuggets ha riservato e riserva a Danilo: infatti, la sensazione è che come volti immagine siano stati scelti Lawson e Faried, che Gallo sia sottovalutato o dimenticato.
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La gestione tecnica di Gallinari rimane misteriosa ma si allinea alle domande su quali siano gli obiettivi stagionali dei Nuggets, quale sia la reale dimensione come allenatore di Shaw, il livello della squadra, l’idea cestistica che si vuole portare avanti. Ad oggi, le risposte le sanno loro e nessun altro, a noi comuni mortali e’ consentito rimanere con in mano tanti punti interrogativi.
Francesco Lorenzato